I migliori 5 film da rivedere per innamorarvi (un’altra volta) di Tokyo

I migliori5 film da rivedere per innamorarvi (un’altra volta) di Tokyo

È la città in cui vivo, ma anche la meta dei sogni per tanti di voi, o il luogo in cui non vedete l’ora di tornare. E in attesa del momento – speriamo tutti presto – in cui potremo riprendere a viaggiare insieme, ho pensato di farvi fare un piccolo giro qui a Tokyo con la fantasia. Consigliandovi cinque film sulla capitale giapponese, alcuni molto noti, altri forse un po’ meno di quanto meriterebbero. Cinque film che vi prenderanno per mano e vi faranno rivivere un po’ di quel mal di Giappone, la nostalgia di questi luoghi che accompagna chiunque li abbia visitati almeno una volta. Da vedere o, se li conoscete già, da rivedere un’altra volta.

1. Un affare di famiglia

Hirokazu Kore’eda è uno dei registi più affermati nel panorama attuale del cinema nipponico. I suoi film hanno acquisito negli ultimi anni notorietà internazionale grazie alla partecipazione a festival prestigiosi come Venezia (l’anno scorso con Le Verità, con Catherine Deneuve e Juliette Binoche. Il primo non girato da lui in giapponese) o Cannes. Dove a portarsi a casa la Palma d’Oro, nel 2018, è stato appunto Un affare di famiglia. Il titolo originale è Manbiki kazoku (“La famiglia di taccheggiatori”), che come quello internazionale con cui è nota la pellicola, Shoplifters, rende meglio il tema di fondo. Una famiglia di ladri che sopravvive, giorno per giorno. Ma anche e soprattutto una famiglia che ci fa capire cosa voglia dire davvero crescere uno accanto all’altro. Volersi bene. I temi sono quelli classici di Kore’eda, i legami famigliari e l’elaborazione del lutto, la storia è sorprendente per tanti motivi diversi e, beh, è impossibile arrivare ai titoli di coda con gli occhi asciutti.

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2. Il giardino delle parole

Il giardino delle parole (Kotonoha no Niwa) è un breve film di Makoto Shinkai uscito nel 2013, prima del grande successo di Your Name. Come tanti lavori del regista e animatore di Nagano, Il giardino delle parole racconta il tema della distanza tra le persone, fisica o emotiva che sia, utilizzando come setting un quartiere di Tokyo che – parlando di spazi – occupa un posto enorme nel cinema di Shinkai: Shinjuku. Le file di macchine accanto alla sua tentacolare stazione, i suoi semafori, i suoi corvi giganti che tutto guardano dall’alto. Ambientato in quell’oasi serena che è il parco di Shinjuku Gyo-en, racconta l’incontro, nei giorni di pioggia, dello studente Takao (che sogna di diventare un calzolaio) e di una donna misteriosa. È proprio il parco, alla fine, il vero protagonista della vicenda, con quegli scorci struggenti e i grattacieli che spuntano tra le cime dei suoi alberi. Delle “location” usate da Shinkai per questo film e per Your Name ho parlato qualche anno fa in questo video.

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3. Tokyo Love Hotel

Nei GiappoTour che accompagno alla scoperta di Tokyo è sempre un momento a metà tra le risate e l’imbarazzo: lo spiegone sul quartiere di Kabukicho e le sue tante attività, letteralmente, non alla luce del sole. Il titolo originale di questo Tokyo Love Hotel è, infatti, Sayonara Kabukicho (“Addio Kabukicho”) ed è ambientato in un love hotel del quartiere a luci rosse della megalopoli nipponica. Nell’arco di 24 ore, in questo alberghetto a ore s’intrecciano le storie di vari personaggi: una cantante con grandi sogni, una donna in fuga dal marito violento, una ragazza sudcoreana con il permesso di soggiorno scaduto… Varie figure alle prese con problemi grandi e piccoli, e alla ricerca di un senso da dare alla propria vita. E sì, ovviamente la cantante e la straniera sono rispettivamente una idol famosa e una popolare attrice sudcoreana. La regia è di Ryūichi Hiroki, che il tema del rapporto tra i sessi e della sessualità, in tutte le sue sfumature e soprattutto dal punto di vista dei suoi riflessi sulla vita dei giapponesi, l’ha affrontato per un’intera carriera. Dai film erotici (pinku eiga) che girava nei primi anni 80 a pellicole maggiormente impegnate e basate sui sentimenti come questa.

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4. Tokyo Godfathers

Scritto e diretto nel 2003 da Satoshi Kon, Tokyo Godfathers è il terzo film di un regista venuto a mancare troppo presto, nel 2010. Lasciando il mondo degli anime orfano di uno dei suoi più grandi talenti. Dopo uno spietato ritratto del mercato di giovani vite che è il business delle idol (Perfect Blue, 1997) e la storia di due documentaristi alle prese con la vita di una leggenda del grande schermo (Millennium Actress, 2001), Kon racconta con Tokyo Godfathers la vicenda di tre senza tetto della capitale che, la vigilia di Natale, trovano una bambina tra i rifiuti. Gli inseguimenti, il conflitto, la verità sui genitori della bimba (che viene chiamata Kiyoko, cioè “pura”) servono anche qui da contorno per le riflessioni di Kon sulla società giapponese, le sue idiosincrasie e il suo modo di intendere gli affetti e la famiglia. Kon ha lavorato a quattro mani alla sceneggiatura con Keiko Nobumoto, sceneggiatrice anche di World Apartment Horror (il film di Otomo tratto da una storia di Kon) e della serie Cowboy Bebop.

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5. Lost in Translation

Non potevo che chiudere questa piccola lista con il film che ha spinto tanti di noi dritti tra le braccia del Giappone. Se coltivavamo giù un enorme interesse per il Sol Levante, e in particolare per la sua capitale, il film di Sofia Coppola del 2003 (sì, sono passati quasi vent’anni…) è stato benzina su quel fuoco. Una giovanissima Scarlett Johansson e il grande Bill Murray in una pellicola che spiega l’approccio da gaijin a Tokyo. Il suo essere un luogo così alieno – e a tratti alienante, per l’inevitabile somma di differenze culturali – eppure pacifico. Un’esplosione di luci e suoni, eppure animata da una certa calma. La malinconia enorme che Bob e Charlotte vivono nelle stanze del Park Hyatt Tokyo, quella che la stessa Coppola ha definito una “melanconia romantica”, altro non è che il riflesso delle sensazioni vissute dalla stessa regista. Che tempo prima, in quell’albergo per la promozione del suo Il giardino delle vergini suicide, fissava dalla finestra il profilo della metropoli alla ricerca di risposte sul suo futuro. Esattamente come fanno i due protagonisti di questa poco convenzionale love story. Girato quasi tutto senza permessi per quanto riguarda gli esterni, scendendo da un furgone e filmando le scene al volo, Lost in Translation conserva un fascino tutto particolare. E fa niente che lo si sia già visto dieci volte (lo abbiamo fatto tutti, no?), ogni volta possiamo trovarci un particolare nuovo, un dettaglio, uno scorcio della Tokyo ormai di qualche anno fa. Quella che ci ha fatto innamorare, di un amore che non passa più.

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Tommaso In Giappone
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