Il Giappone vissuto in gruppo e in coppia

Il Giappone vissuto in gruppo e in coppia

di Alessandro “DocManhattan” Apreda

Nelle puntate precedenti: ho avuto la fortuna di girare per il Giappone tante volte, e a ogni viaggio ho imparato qualcosa di nuovo. (qui tutti gli articoli passati) Ad esempio quanto possa essere pericolosa la soba con la panna gelata o che, se proprio ti ritrovi tagliato fuori da tutto e tutti all’una di notte a Narita, perché il tuo scalo a Pechino è durato più del previsto, c’è caso che l’autista di un pullman che stava per staccare dopo una giornata di lavoro si offra di accompagnare te e il tuo collega fino a Urayasu, a oltre cinquanta chilometri da lì.

“siamo animali sociali e italiani, e perciò da soli contempliamo e filosofeggiamo, in due facciamo casino, in tre fondiamo già un movimento politico”

Una cosa di cui non ho ancora parlato però è quanto profondamente diverso sia il Giappone vissuto in gruppo, in coppia o da soli. Prima che qualcuno faccia giustamente presente, sventolando un cartello in cui si ringrazia l’organo riproduttivo maschile, che questo vale per tutti i viaggi, in ogni destinazione e a ogni latitudine, lasciate che vi spieghi. Sicuro, anche Manhattan la vivi in modo diverso se ti ritrovi circondato da una banda di compañeros, e immagino che ammirare gli azulejos di Lisbona con la propria dolce metà sia molto meglio che farlo da soli, cercando disperatamente l’angolazione giusta per un selfie che celi un minimo la saudade del momento. Immagino, eh, ché a Lisbona non ci sono mai stato.

Ma il Giappone aggiunge a questo fenomeno – figlio del fatto che siamo animali sociali e italiani, e perciò da soli contempliamo e filosofeggiamo, in due facciamo casino, in tre fondiamo già un movimento politico – la natura magica, aliena, amichevole ma a volte anche un pelo inquietante di un paese che amiamo da sempre. Questo luogo strano qui, che gli anime ci hanno spiegato nei fondamentali quando ancora non sapevamo leggere. Tanti di noi, prima di metter piede in una prima elementare, sapevano già che in in un altro spicchio di mondo si dormiva per terra come Guglia, e poi quello strano letto senza rete e materasso lo si poggiava a prender aria sulla finestra e infilava in un armadio. Che lì si mangiava con le bacchette, facendo volare a velocità subluce il riso dalla ciotola alla bocca. E che gli alieni e i mostri giganti ce l’avevano con le centrali elettriche, ma quella è un’altra storia.

E allora, se cresci nippofilo, quel posto lo sogni, e per quanto ti possa informare prima, leggendo ad esempio delle guide nerd piene di dettagli e curiosità – coff, coff – o riversandoti in retina tre volte di fila tutti i video di Tommaso, il Giappone vissuto in presa diretta sarà in grado comunque di stupirti. Ogni singola volta, ma in modo diverso, a seconda del numero di tuoi compagni di viaggio e avventura. Da zero a venti, diciamo.

“Quando accompagno un gruppo, anche i posti più già visti, succede sempre qualcosa di divertente, in grado di rendere quella giornata memorabile.”

Se sei in gruppo, quello stupore diventa scoperta condivisa, caciara, gente a cui ti ritrovi abbracciato in un karaoke a cantare la sigla di Evangelion dopo il decimo bicchiere di umeshu, felice come mai lo sei stato nella vita. Devi stare solo attento a non dire cose di cui potresti pentirti, perché – è successo – se uno dei partecipanti annuncia urbi et orbi il suo piano segreto di sposare una adult star nipponica, magari qualcuno lo riprende e poi lo si prende per il culo per giorni. Quando accompagno un gruppo, anche i posti più già visti, in cui sono stato mille volte – credetemi, c’è un limite fisiologico alle molestie che puoi subire da un cervo di Nara in cerca di gallette – succede sempre qualcosa di divertente, in grado di rendere quella giornata memorabile. Tutto diventa racconto, al mattino dopo, di quello che d’improbabile è potuto accadere nelle poche ore precedenti in cui non vi siete visti. Come ad esempio, metti, che uno del gruppo abbia scambiato un’asciugatrice per una lavatrice, aromatizzando tutta l’aria lavanderia dell’hotel alla fragranza di un paio di boxer di due giorni prima. Sì, è successo pure questo.

Ma anche che alle quattro del mattino sei già sveglio, non sai che fare, in TV ci sono solo drama assurdi e programmi sul meteo, e allora scendi al conbini a sfogliare le riviste e comprare un onigiri, e ci trovi metà comitiva. Perché il jet lag non guarda in faccia a nessuno, baby. Speri che non finisca mai, e alla fine sì, ovviamente finisce. Ma ti fai degli amici e crei dei legami che ti porti dietro magari per sempre. Perché non capita spesso di condividere con qualcuno il sogno di una vita.

“In coppia il tutto assume una dimensione ovviamente più intima. Non c’è il membro del gruppo da prendere bonariamente per i fondelli” 

In coppia il tutto assume una dimensione ovviamente più intima. Con questo, senza tirare in ballo necessariamente le vasche private di una onsen, intendo dire che la scoperta, l’esplorazione da Indiana Jones armato di traduttore automatico e pocket wi-fi anziché di frusta e cappello, assume sembianze diverse. Non c’è il membro del gruppo da prendere bonariamente per i fondelli perché dorme sempre, ché le crisi di stanchezza in una coppia devi gestirle in modo differente. E lì, allora, è il ramen-ya incredibile in cui condividete, nell’ordine, un miso ramen celestiale dopo una giornata di scarpinate, sguardi stanchi ma felici, un silenzio rigenerante, che vi dà una sensazione difficile da spiegare. Pace interiore? Gioia? Un po’ tutte e due. Se il signore con la cravatta lì accanto la smettesse di fare tutto quel casino nel tirar su i tagliolini sarebbe pure meglio, d’accordo, ma non si può avere tutto nella vita. Avete il Giappone, l’amore e un ramen che cercherete invano per anni negli instant noodles di ogni marca e tipo, direi che può bastare.

Ma, se togli l’amore – poi oh, non è detto – lo stesso vale quando si è lì con un amico o un’amica. Non potendo ancora fondare un partito, e non dovendo raccattare chi è finito sul treno sbagliato e deve tornare indietro da Yokohama, in due si affronta una passeggiata per Tokyo con un altro spirito. Non sei parte di una banda di persone come te, siete solo in due, finite inevitabilmente per mescolarvi di più. Al flusso di persone, alla vita locale, alla città stessa, che tende ad assorbirvi e farvi sentire parte della sua oliatissima macchina umana in perenne movimento. In due ci sono le gag su chi deve ricordare all’altro di non toccare lo sportello posteriore automatico dei taxi, su chi deve svegliare l’altro e convincerlo che restarsene a russare una mezza giornata non sia in effetti una buona idea. In due si vedono più cose, perché due occhi non bastano al turista in Giappone per il suo primo viaggio. E quattro braccia sono comunque meglio di due, se il trolley al ritorno pesa quanto un bambino di dieci anni e non ce la fai a sollevarlo, ecco.

Resterebbe tutto il discorso del viaggio in solitaria, ma mi sono dilungato abbastanza, perciò facciamo magari che di quello vi parlo la prossima volta. Torno a vivere la mia quotidiana nostalgia per Tokyo, mata ne.

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