Agenzia per gli Affari culturale di Tokyo ha appena concluso un sondaggio per conoscere quale fosse la parola straniera più conosciuta in Giappone, e ha scoperto che è “stress”. La conosce e la usa abitualmente il 98,5 per cento della popolazione. Stupore e meraviglia dei ricercatori che erano partiti con l’ intenzione di sondare lo stato di salute della lingua giapponese e che sono invece saltati subito alla conclusione della catastrofe sociale in quanto, secondo loro, l’ elevata percentuale di persone che conoscono il significato di questo termine «è il riflesso dello stato in cui versa la società nipponica, in cui sempre più individui si sentono stressati». Ma non è una novità, hanno subito puntualizzato decine e decine di commentatori sociali, categoria di intellettuali tipica del Giappone che sulla stampa e in popolarissime rubriche televisive si dedica a sviscerare il tema che più appassiona il pubblico giapponese e cioè: «Chi siamo? Perché siamo diversi dagli altri? Cosa ha di speciale l’ individuo nipponico?». E giù teorie, giù risposte, paragoni, apprezzamenti positivi sulla «Nostra Unicità» e, di tanto intanto, critiche più o meno larvate per un sistema che, secondo molti di questi esperti, sta ormai facendo acqua. Infatti, quando quattro anni fa si scoprì che i circa trentamila suicidi all’ anno tra i maschi adulti in età lavorativa (furono 31mila nel 2001) incidevano negativamente sul Pil, il Prodotto Interno Lordo, si svolsero inchieste e sondaggi per tentare di correre ai ripari e individuare quali potessero essere le cause che spingono una persona a dire “Non ce la faccio più”. Ebbene, si giunse alla conclusione che la causa principale era, come sempre, lo stress, che in giapponese si pronuncia “suturesu”. Come decine e decine di parole anglosassoni ormai di uso quotidiano in giapponese, vengono pronunciate aggiungendo suoni vocalici all’ alluvione di consonanti dell’ inglese: “building”, per esempio, diventa “biro”; “department” diventa “depato”, “bread” è “bredu” e così via, al punto che si potrebbe sostenere una semplice conversazione in giappinglese senza conoscere il giapponese. Ma questo non desta nessuna preoccupazione, i giapponesi non sono fanatici della purezza linguistica, il tasto che invece duole è sempre quello dello stress: stress da eccessivo lavoro fino a qualche anno fa, stress per la mancanza di lavoro e l’ aumento della disoccupazione oggi. Ma il mito dell’ efficienza condiziona persino chi non ha niente da fare, come i pre-pensionati e i precari, i quali non vogliono che la loro condizione sia nota. Così continuano a correre, a darsi da fare. Per finta, per apparire. Di recente un sociologo ha osservato: «In un posto folle come Tokyo, anche i barboni che dormono dentro gli scatoloni di cartone nei sottopassaggi della metropolitana sono stressati dal flusso incessante di passeggeri che si affrettano. Ma perché noi giapponesi corriamo sempre? Perché non ci concediamo ma il ritmo lento di una passeggiata?». Già, perché? C’ è chi sostiene che il “male oscuro” che i giapponesi efficientisti fino al midollo insistono a chiamare “stress” in realtà sia una semplice-si fa per dire – depressione. Tipica delle società industriali ormai stramature.



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Tommaso In Giappone
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